Il primo di cordata procedeva sicuro, era sciolto nei movimenti quasi come il flusso dell’acqua di un ruscello che nella difficile corsa porta alla valle si appiattisce scendendole aderente alle varie insenature ed ostacoli che incontra nel suo percorso. La roccia si presentava irregolare e molte volte i vari cambi d’inclinazione e la difficoltà nel trovare i giusti appigli la rendevano insopportabile e riluttante, tutto questo unito al selvaggio e impervio ambiente circostante ci suggeriva di non essere troppo invadenti quando la premura non diveniva paura ma semplicemente il riflesso dell’amore per la vetta che come una sorgente sgorgava continuamente nel profondo del nostro cuore. La corda che passava all’interno dei rinvii saldamente ancorati a chiodi posizionati con cura ed attenzione era sempre tesa e non permetteva una grande libertà di movimento ma allo stesso tempo era l’unico ancoraggio che instaurasse un legame fra di noi e ci portava a condividere ogni cosa ancora prima che nascesse in noi il primo barlume di una consapevolezza che molto spesso stenta a venire a galla. Nonostante l’esperienza e la gran voglia di salire verso l’alto, di tanto in tanto, anzi forse troppo spesso si trovavano a dover far uso di chiodi e altre protezioni che dissolvessero in loro la paura di precipitare. Più di una volta si rendeva necessario ridiscendere in corda doppia perchè la mancanza di appoggi sicuri interrompeva la linea che si tramutava in un vicolo ceco e costringeva i due alpinisti a compiere dei traversi, che gli permettessero di trovare o meglio continuare il cammino interrotto. Nella nostra vita ci troviamo spesso a percorrere le strade più disparate che molte volte ci portano ad un vicolo cieco e allora in fretta e furia siamo costretti fortunatamente a ritornare sui nostri passi, insomma, a rivedere
un percorso che grazie alle nostre scelte, spesso frettolose ed affrettate, si è reso improteggibile e rischia di compromettere la nostra voglia di infinito, la ricerca della felicità, la strada che ci permette di progredire verso l’alto, verso la cima, quella casa sulla roccia che dà ed è la luce che ci salva. Per fare questo però abbiamo bisogno di una corda saldamente ancorata alla roccia, un po’ come dei paletti che si rendono necessari nella nostra vita, perché per reinventarci nel cammino, o si ha una base solida, in questo caso dei chiodi, altrimenti si rischia di precipitare nel vuoto, di vivere in caduta libera sbattendo contro tutti e tutto, per poi diventare spettatori impassibili di una vita che ci è sfuggita di mano, priva di quei paletti che ci permettono di rialzarci e di aggiustare la mira. Inoltre la corda ci lega agli altri ed instaura tra noi un rapporto di fratellanza che ci porta ad un cammino di condivisione che crea unione e coesione. quindi credo sia necessario, che apriamo il nostro cuore agli altri e a dio cercando tutti insieme di costruire la casa sulla roccia, ponendo dei paletti che ci permettono di mantenere la rotta. Così diceva Karol, un uomo venuto da lontano, che amava incontrare la gente e instaurare legami: “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo”. Leghiamoci alla stessa della vita, nella condivisione, alla ricerca della vera felicità. Tutti coloro che conquisteranno la forza dovranno dividerla. La felicità è nata gemella.